24.10.2018 – “I musicisti delle orchestre vivono ai limiti della povertà” è la traduzione letterale di “Orchestral musicians living on breadline“, il titolo dell’articolo sulla intervista rilasciata da alcuni musicisti britannici di indubbio spessore al sindacato dei musicisti del Regno Unito.

Qualche tempo fa, sulla pagina Facebook di Sos Musicisti, uno dei più nostri più attenti collaboratori, Luca Ruggero Jacovella, aveva postato il link di un articolo (in lingua inglese) pubblicato in Maggio da BBCnews, il sito web della nota  BBC (British Broadcasting Corporation, la piu importante azienda di produzione di prodotti d’informazione nei paesi di lingua inglese), sulla triste situazione degli orchestrali “classici” nel Regno Unito.
https://www.bbc.com/news/entertainment-arts-43976334

Ritenendo che l’articolo sia d’interesse costante, ne pubblichiamo la traduzione in italiano.

In calce il breve post introduttivo di Jacovella, una interessante considerazione di Marco Tocilj, altro attentissimo osservatore di questioni attinenti la musica (e non solo) e un parallelo con la situazione nel nostro paese (a cura del segretario nazionale di Sos Musicisti, Victor Solaris) dove il problema è ancora più grave, giacché non riguarda solo la musica classica, ma il live in generale.

LA TRADUZIONE DELL’ARTICOLO
Nel Regno Unito, fatta eccezione per gli orchestrali di base della BBC Philharmonic o della City of Birmingham Symphony Orchestra (che percepiscono circa 30.000 sterline l’anno), le paghe sono sempre più basse a causa dei continui tagli ai finanziamenti pubblici.

Particolarmente colpiti sono i musicisti più giovani.
Due su cinque dei nuovi arrivati ​​nelle orchestre (classiche – ndr), nel 2017 hanno lavorato gratis.
Il 44% dei musicisti ha dichiarato alla Music Union (il sindacato dei musicisti) che fa fatica a sbarcare il lunario e persino tra i non più giovani (quelli che suonano da più di 30 anni) due su tre hanno dichiarato di aver preso in considerazione una attività alternativa.

“I salari sono sempre più bassi, se continua in questa direzione, questo non può essere considerato un lavoro vero e proprio”  ha detto Michael Kidd (corno francese nella City of Birmingham Symphony Orchestra), il quale – per inciso – ha suonato al matrimonio del Duca e della Duchessa di Cambridge ricevendo un pezzo di torta nuziale dal Principe Carlo come regalo di ringraziamento.

Nell’intervista alla BBC il prestigioso musicista ha affermato che molti orchestrali vivono sotto la costante minaccia della disoccupazione e sono gravati di debiti, e ha aggiunto: “tantissimi musicisti percepiscono paghe così basse da essere costretti a sottoscrivere un’ipoteca per acquistare il proprio strumento”.
E ancora: “Si è arrivati ​​a un punto in cui noi musicisti dobbiamo sperare sempre di più in quei generosi frequentatori di concerti che non si limitano ad acquistare il proprio biglietto, ma fanno anche offerte per continuare a sostenere le orchestre.  Ovviamente abbiamo tutti una gran passione per il nostro mestiere, ma, se dipendiamo interamente dalla buona volontà del nostro pubblico, la paura per la sopravvivenza è inevitabile. Come dire che senza il sostegno dello Stato la musica classica è destinata ad andare tutto a rotoli”

La nota flautista Jemma Freestone ha affermato che, come molti colleghi, deve integrare il suo stipendio con lezioni private, workshop, e lavoretti in sale di registrazione.

“Sta diventando sempre più evidente che suonare in orchestra è una piccola parte di ciò che è necessario per sopravvivere in questo settore”, ha detto alla BBC.

“Personalmente non ho problemi perché mi piace insegnare musica e fare workshop, ma per tanti altri non è così facile. Infatti (ndr e qui una pesante osservazione su cui riflettere), tutto quello che impari nel college di musica è come suonare il tuo strumento. Non apprendi altre abilità ausiliarie di cui, in realtà, avrai bisogno per sopravvivere.”
La signora Freestone suona con la Southbank Sinfonia e il National Theatre, oltre al suo lavoro di insegnante e di divulgazione. Ma nota che in altri paesi europei, i musicisti orchestrali il salario è molto più alto.
“Forse in UK fare il musicista non è valutato abbastanza come una professione”, ha detto.
“Studiamo alacremente per cinque, sei, sette anni e poi per trovare un lavoro come musicista (n.d.r. entrare in un’orchestra), è una autentica competizione e quando ci si riesce, si è portati a pensare di essere arrivati, ma è una illusione” .
E prosegue: “Anche se sono convinta che nessuno si avvii a questo mestiere per arricchirsi, in ogni caso è necessario guadagnarsi almeno da vivere, ma le orchestre potrebbero persino chiudere”.

The Musicians’ Union (il sindacato dei musicisti) ha intervistato 285 musicisti in sette orchestre in tutto il Regno Unito per mettere in luce la loro triste situazione.
La conclusione è che potrebbe esserci un gran  “vuoto culturale” se le orchestre fossero costrette a chiudere.
Il sindacato sta lanciando una campagna, Musician Behind the Moment, per ricordare alla gente quanto preziose possano essere le orchestre – nella speranza che i fan possano far pressione sull’Arts Council (l’ente che destina i fondi) e sulle amministrazioni (?) locali per aumentare i finanziamenti.

Questo è il messaggio rivolto alle masse da Naomi Pohl, rappresentante sindacale dei musicisti in Inghilterra:
“Anche se non sei un fan della musica classica, probabilmente interagisci con le orchestre più di quanto ti renda conto. Infatti, se stai guardando il tuo programma TV o un film o stai giocando al tuo videogioco preferito, degli orchestrali sono su quelle colonne sonore.”

“Molti musicisti svolgono un sacco di lavoro nelle case e negli ospedali per la demenza, così come in ambienti educativi, come insegnare a un bambino uno strumento musicale per la prima volta”

“Sappiamo che è impossibile avere tutti i denari necessari, ma stiamo cercando di far capire che le orchestre sono davvero preziose risorse nelle comunità. E’ necessaria una maggiore priorità per le orchestre”.
“Il rischio è molto alto: a breve vedremo chiudere molte orchestre”, ha ripetuto anche lei.
“Sarebbe disastroso”.

Il breve post introduttivo di Luca Jacovella sulla pagina Facebook di Sos Musicisti:
”Siamo sicuramente in un periodo di transizione verso altro …
E’ il caso di resistere o di assecondare il cambiamento e imparare nuove competenze?
Cosa potrebbe fare un “musicista” del futuro?”

Il commento di Marco Tocilj su Facebook:
”È già accaduto per i pittori, gli amanuensi, gli esploratori, i lottatori (che nei tempi antichi facevano i mercenari) e gli arcieri, gli zappatori (oggi si zappa il proprio orticello, per passione, non si assumono centinaia di persone per dissodare un campo!), i cacciatori.
Sta accadendo per i musicisti, per i fotografi, in parte per i pescatori (con la diffusione degli allevamenti ittici).
Dobbiamo farcene una ragione?
Forse, siamo l’ultima generazione di musicisti “veri” (nel senso che suoniamo fisicamente ed in tempo reale degli strumenti)? Ed in quanto tali dovremmo chiedere tutele come “specie in via di estinzione” più che professionali per professioni che vanno scomparendo?

Probabilmente il professionismo resterà per una manciata di virtuosi abilissimi (come è già accaduto per lo sport), e si lavorerà con l’insegnamento. Anche questo è già successo: quando ero ragazzo i musicisti migliori non avevano tempo di insegnare, perché dovevano suonare dal vivo. Oggi combattono per le cattedre in conservatorio, alcuni con la storia e la musicologia.
Certamente che vi saranno ancora performer, ma l’aspetto musicale varrà meno di quello fisico, dell’abbigliamento, del “messaggio” e della posizione politica.
Anche questo è già successo.
Ci Rassegniamo? Continuiamo a fare musica per noi e per gli ostinati come noi, con coerenza, dedizione e divertimento, nuovi cavalieri erranti, inattuali ed orgogliosi?”

IL PARALLELO CON LA SITUAZIONE NEL NOSTRO PAESE
L’intervista pubblicata da BBC news non fa sconti. Nel Regno Unito i musicisti (classici) faticano non poco a vivere del loro lavoro e tante conclamate orchestre rischiano persino di chiudere per motivi economici.
Eppure stiamo parlando di una nazione dove storicamente non manca certamente il pubblico ai concerti di musica classica.
Basti pensare al BBC PROMS, il festival di musica classica più importante al mondo.  Ben otto settimane di concerti (tra agosto e settembre) alla Royal Albert All di Londra, e in particolare alla serata conclusiva (The last night of Proms), quando il megaconcerto viene ritrasmesso su maxischermi sistemati nelle principali piazze di Londra e non solo. La partecipazione di pubblico è a dir poco spettacolare!
Un po’ come da noi … alle finali dei mondiali di calcio.

Nell’articolo si evidenzia che la crisi delle orchestre britanniche è da ricondurre ai tagli dei finanziamenti pubblici, ma nel nostro paese la questione è ben diversa, da noi si tratta di una autentica disaffezione al live (e non solo a quello della musica classica) che ha radici nella scarsa educazione del pubblico che, specie in questi ultimi anni, è sempre più orientato alla musica di mero intrattenimento, un settore dove la deejay-mania la fa da padrone e dove persino i musicisti fanno uso indiscriminato di “basi musicali”.
Per inciso, non fanno testo i pienoni delle rock star negli stadi. Non si tratta di cultura, ma di speculazione commerciale sulla dilagante ineducazione musicale. E neppure fa testo il live genuino nei pub o nei rari jazzclub, giacché gli eventi di tal genere sono numericamente irrilevanti.
Eppure siamo una nazione con il più alto numero di Conservatori in Europa:
Se a quelli statali sommiamo le istituzioni parificate e le sedi distaccate si arriva alla notevole cifra di 88.
Da noi, ogni anno vengono “laureati” circa 6.000 nuovi “professori d’orchestra” destinati alla disoccupazione o al miraggio di un posto nella scuola pubblica come insegnanti di musica. Ma essendo questi impieghi statali saturi da tempo, agli interessati in perenne attesa non resta che ripiegare nell’insegnamento privato (o cambiare completamente mestiere).

Ma anche nelle scuole private, pur diffuse in ogni pur piccolo paese di provincia,  sooerto rose e fiori.
Il mestiere di insegnante privato è “precario a vita” come pochi altri.
Perché? A causa della “lezione individuale”, caratteristica peculiare imprescindibile nell’insegnamento della musica, il rientro economico è così modesto che, per quanto si facciano sforzi e sacrifici immensi, non si può certo parlare di un vero e proprio lavoro con cui vivere dignitosamente.
Di questo problema c’è ampio approfondimento al cap. 4 del Manifesto dei Musicisti.

QUALCHE CONSIDERAZIONE FINALE
In conclusione di questo commento vale la pena di soffermarsi con qualche ulteriore considerazione.

NEI CONSERVATORI NON SI INSEGNA AD INSEGNARE
Per cominciare va denunciato quanto afferma la prestigiosa flautista Jemma Freeestone: cioè che, come nel Regno Unito, anche nei nostri conservatori non si insegna ad insegnare, o lo si insegna in modo marginale.
Il risultato è che, in moltissimi casi nelle scuole private, alla precarietà dovuta alle lezioni individuali si aggiunge persino la carenza di allievi. Infatti, salvo rare eccezioni, vengono applicati metodi tradizionali decisamente inadatti ai ragazzi che si approcciano allo strumento o al canto per divertirsi e non per fare della musica il proprio mestiere. Di quì la  tendenza a recedere alle prime difficoltà.
Si salvano solo le poche scuole dove, con particolare abnegazione degli insegnanti, si riesce a coinvolgere gli allievi con la musica d’insieme. Ma si tratta di autentico eroismo, giacché il servizio viene offerto gratuitamente. Le famiglie non possono certamente spendere i 200/300 euro che rappresentano il costo degli allievi nei conservatori per lo Stato.

COSA PUO’ FARE LO STATO?
Dal momento che è impensabile incentivare il live con finanziamenti extra-FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo) giacché la crisi economica che perdura ormai da tempo non lo consentirebbe, ci chiediamo: “perché non attivare una area no-tax per i lavoratori precari dello settore? Un provvedimento che non avrebbe alcun costo per lo Stato!”
E sì … perché si tratta di esentare da tasse e contributi dei soggetti che già sono improduttivi dal punto di vista fiscale e che, oltretutto, anche se versassero i contributi previdenziali, non arriverebbero mai ai minimi di legge per la pensione.
Con una mirata area no-tax si eviterebbe il ricorso massivo ad associazioni di comodo che vivono quotidianamente sotto la spada di Damocle del rischio di verifiche da parte della Agenzia delle Entrate.
Per fortuna i controlli sono rarissimi, ma laddove accade sono sanzioni impagabili!
Ed è grave. Non è certamente una bella cosa essere tacciati di evasione a fronte di attività encomiabili e di grande utilità sociale rese ai limiti del volontariato! Ne sanno qualcosa i malcapitati che hanno avuto i controlli!
Spiace dirlo, ma stiamo parlando di lavoratori che, pur avendo a volte studiato più di un medico, sono costretti ad evadere (o aggirare) tasse e contributi per pagare l’affitto, l’assicurazione dell’auto, le bollette o addirittura per avere qualcosa nel frigo.

Infine, vale la pena di ricordare che come SOS MUSICISTI da tempo peroriamo una area no-tax quantomeno al pari di quella in essere nello sport.